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Lo spreco di istruzione

Pubblicato il: 02/07/2010 15:40:22 -


Lo sforbiciatore di turno ha forse una scarsa dimestichezza con l’uso delle tante preposizioni che la lingua italiana mette a disposizione; se si dice “tagli nell’istruzione” si evocano gli scontati anatemi contro le classi con quattro/cinque alunni, contro le assenze di comodo e via dicendo, ma se si parla di “spreco di istruzione” il discorso si fa molto più complesso.
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Il tema dello spreco, in termini di risorse economiche, che si determina nel pubblico impiego e in particolare nella scuola si conclude ormai sempre con la solita e mai abbastanza lodata parola d’ordine: “tagliare”, eliminare, classi, docenti, materie, personale… speriamo non alunni, perché nel contesto italiano questo sarebbe davvero eccessivo! Siamo ancora ben al di sotto dei benchmark che da anni l’Europa indica in relazione alle percentuali di diplomati da raggiungere, almeno per le classi di età più giovani.

Tagliare quindi; dopo si discuterà, eventualmente, di come e di dove utilizzare i risparmi, prospettiva inquietante viste le voragini di bilancio che ogni giorno si aprono davanti agli occhi dei cittadini.

Poiché in genere in Italia siamo molto bravi a sfumare le questioni dolorose e a stemperarle nei linguaggi della speculazione astratta, il cittadino italiano si trova ora impegnato a seguire complesse geometrie che definiscono diverse tipologie di tagli, per cui, lanciato l’ostracismo (giusto peraltro) contro i tagli “lineari”, sembra che si possa stare un po’ più tranquilli e aprirsi al dialogo, meglio se dopo aver definito efficaci criteri e standard. Intanto chi ha in mano il manico del coltello “lineare” continua ad andare avanti tranquillo: le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Forse però vale la pena di riflettere meglio su cosa significa spreco in un settore delicato come quello della scuola. Si ha l’impressione che lo sforbiciatore di turno abbia una scarsa dimestichezza con l’uso delle tante preposizioni che la lingua italiana mette a disposizione; se si dice “tagli nell’istruzione” si evocano gli scontati anatemi contro le classi con quattro/cinque alunni, contro personale ATA che non si dedica più con solerzia all’utile lavoro di pulire classi, banchi, corridoi, contro le assenze di comodo e strategiche ecc, ma se, utilizzando la ricchezza della lingua italiana, si usa un’altra preposizione, quella usata nel titolo, e si parla di “spreco di istruzione” il discorso si fa molto più complesso, ma più interessante e molto meno lineare.

Ancora all’inizio di questo anno le rilevazioni della forza lavoro restituiscono il solito dato: il 49% circa della popolazione italiana tra i sedici e i 65 anni ha al massimo solo la licenza media; ma, se si va a chiedere a queste persone qual è l’ultima classe frequentata, si scopre che molte, soprattutto le più giovani, dopo l’esame di terza media hanno cercato di restare nel sistema di istruzione, ma poi non hanno resistito. È ovvio che bisognerà vedere come e se, nel corso degli anni più recenti, l’obbligo di istruzione sia riuscito a ridurre la dispersione almeno nei primi anni della secondaria superiore, ma le timidezze, che hanno impedito di rinnovare questo settore di scuola, non fanno presagire nulla di buono, i nuovi programmi sono lì a confermare queste perplessità.

Sono di oggi i risultati dei primi scrutini pubblicati alla conclusione delle scuole, non sono completi, ma la tendenza è chiara: le percentuali di quanti non sono passati alle classi successive superano il 5% degli scrutinati (i dati sono pochi ancora e riferiti alle scuole che fanno notizia – licei soprattutto) e si concentrano nelle prime e seconde superiori; i “debitori” sfiorano e superano il 40% e, tra le pieghe, vengono fuori i numeri di quelli che si sono ritirati prima degli scrutini. Il destino di tutti questi studenti, che non ce l’hanno fatta o di quelli che non ce la faranno a pagare il debito, è molto vago; non si dice nulla, oppure si afferma che, evidentemente, hanno scelto male, non hanno saputo orientarsi; una domanda: ma non è il biennio dell’obbligo di istruzione che ha proprio la funzione di consolidare le conoscenze, rafforzare e specializzare le competenze e orientare le scelte? La soluzione purtroppo è chiara, sta tutta nel perverso combinato disposto di tagli e finte riforme; alla fin fine alcuni dei debitori e/o disorientati, chi se lo potrà permettere, uscirà dalla scuola di stato (continuando a costare a tutti), gli altri vivacchieranno, tra un indirizzo e l’altro di scuola, da ripetente e debitore, accumulando la frustrazione di non aver trovato la strada giusta, sommando frustrazione e fastidio per lo studio, fino all’età in cui sarà prosciolto da obblighi e diritti.

A nessuno viene in mente di chiedersi che cosa questi giovani hanno comunque imparato in un periodo di frequenza della scuola e come sia possibile non sprecare questi pezzi di esperienza, di “esposizione” alla conoscenza, che comunque qualcosa è costato al giovane e alla collettività, e che converrebbe non buttar via per non sprecare risorse pubbliche e aspirazioni individuali!

Il problema dello spreco sta tutto qui nelle due proposizioni (“nel” e “di”), chi crede di potersi/doversi occupare della prima, va avanti con i tagli lineari, lo studente che ce la farà resisterà nella scuola così dimagrita e, per lo studente che non ce la fa, si può sempre sperare che qualcuno se lo accatti, forse la formazione professionale regionale, ma anche qui la scure taglia e non si ha idea di come si possa recuperare qualcosa nelle regioni più deboli, e la valvola di sfogo dell’apprendistato resta poco più di un annuncio.

Vale allora la pena di dire qual è lo spreco che non si sta tagliando, ma che, anzi, si sta aumentando: prima di tutto una cosa molto importante, l’autostima dei giovani che si preparano alla vita adulta, poi tutte le risorse che sarà necessario impiegare in seguito per riqualificare lavoratori adulti e meno adulti con limitatissime competenze di base, con poca motivazione e scarsa fiducia nelle proprie capacità di apprendere il nuovo. Una bella prospettiva per un paese che proclama i valori della competitività, della innovazione e del merito!

Vittoria Gallina

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